NO LOGOUT – lost in thought
La traccia esplora il senso di essere intrappolati nella propria mente, come in un loop digitale, dove ogni pensiero diventa un processo in esecuzione che non si può fermare.
Non c’è una via d’uscita (“no logout”), solo finestre mentali aperte, errori non cancellati, emozioni compresse come file criptati.
È una metafora tra vita digitale e vita interiore: la RAM brucia, i pensieri si accumulano, e ogni click mentale pesa sul cuore.
La notte diventa un terminale silenzioso dove si scrive codice fatto di dolore, glitch, introspezione e resistenza.
“NO LOGOUT” è la voce di chi sopravvive scrivendo, di chi non spegne mai il sistema perché il sistema… è sé stesso.
Vita in debug, ogni scelta in un loop,
scorro tra sogni nel buio come fosse YouTube.
La notte mi afferra, il codice brucia nel ventre,
la mente si lancia dove il corpo non sente.
Pixel di verità piegati sotto questi bit,
scrivo in caps lock — ogni parola colpisce.
La RAM va a fuoco, l’anima compila,
emozioni zippate in una cartella che fila.
Navigo in silenzio tra finestre mai chiuse,
la notte è un hard disk dove illusioni son diffuse.
Ogni bug è un file che grava sul core,
ma l’anima crasha solo se ignori l’errore.
Script esistenziali, runtime mentale,
la vita è un prompt, rispondo con un segnale.
Nessun backup per il me che ho sepolto,
mi nascondo nel codice come un glitch involto.
—
Vita in debug, ogni passo si ripete,
inseguo un fantasma su una traccia segreta.
Sogni in cache, sfarfallano e svaniscono,
come spot nel buio che i ricordi trasmettono.
La notte mi stringe attorno al mio codice,
il petto è una cartella troppo piena per svuotarsi.
La mente salta, il corpo dorme,
ma il silenzio è forte e i file vanno a fondo.
La realtà si piega, la risoluzione cala,
verità nei pixel, bagliore in scala grigia.
Scrivo in CAPS LOCK, non posso sussurrare il dolore,
le mie righe diventano virali ma non dicono l’amore.
RAM piena di echi, flashback incandescenti,
la coscienza compila dove fugge la mente.
Emozioni compresse, protette da password,
un disco pieno di sentimenti interrotti.
Scorro tab che non ho mai chiuso,
finestre del passato mai rimosse del tutto.
Ogni click è un errore, ogni ping un rimpianto,
e il core va in fiamme dal peso del manto.
I crash non spaventano, è peggio negare,
fingere che il sistema non stia per crollare.
Script pieni di paure, cicli infiniti,
un runtime mentale dove i sensi son spariti.
Rispondo in codice quando la vita mi punge,
una sintassi di dolore incisa su una scheggia.
Non esiste backup per questa versione di me,
sono la riga che elimini cercando di essere te.
Il cursore lampeggia come un respiro bloccato,
scrivo nel silenzio, sveglio e spalancato.
Il cuore nel backend, l’anima in shell,
programmo per vivere, rappo per ribellarmi al cell.
La notte è un server che ospita il mio rumore,
i dati sono grezzi, il ritmo è un motore.
Sputo come un virus, preciso e pulito,
le mie rime criptano ciò che è sentito ma non detto.
Non lancio barre, lancio logica in rima,
ogni strofa è funzione che il tempo disattiva.
Rappo nel buio dove i circuiti s’intrecciano,
riscrivo il dolore in un linguaggio che vibra.